lunedì 28 settembre 2009

LEOPOLDO IL PASSEROTTO di Ilenia Lazzarini



LEOPOLDO IL PASSEROTTO


In un pesino di campagna c’era un vecchio cascinale, dove i passeri solevano nidificare. Ed è qui che ha luogo la nostra storia ………

Leopoldo era un vivace passerotto, che viveva in un bel nido con mamma, papà ed altri tre fratellini.
Le giornate trascorrevano tranquille e molto serene; mamma passerotta andava in cerca di cibo per i suoi piccini che la spettavano cinguettando allegramente.
Una mattina però, il nido era tutto in fermento; quella sarebbe stata una grande giornata, i passerottini avrebbero imparato a volare. Mamma passerotta mise in fila i suoi piccoli sul cornicione, Leopoldo che era il più piccino rimase per ultimo. Leopoldo osservava i fratellini prendere il volo e volteggiare nel cielo trasportati dal vento; uno, due, tre tutti i passerotti spiccarono il volo e chiamavano Leopoldo a gran voce: “Vieni Leopoldo è bellissimo,, si vedono cose meravigliose da qui!”. Leopoldo invece si sentiva atterrito e paralizzato, non riusciva a muovere un solo muscolo del suo piccolo corpicino; mamma passerotta gli si avvicino e con voce rassicurante gli disse: “Non ti preoccupare caro, se oggi non ti senti pronto spiccherai il tuo primo volo domani.”
Il giorno dopo e per molti altri giorni a venire Leopoldo non riuscì a spiccare il volo; i fratellini che ormai erano diventati esperti nell’arte del volo lo canzonavano e lo deridevano. Leopoldo si sentiva solo, triste e sfiduciato, passava le sue giornate osservando i fratellini volare liberi e sereni nel cielo azzurro e chiedeva alla mamma: “Perché mamma io non riesco a volare?” e la mamma sempre rispondeva: “A ognuno il suo tempo Leopoldo.”, Leopoldo però non capiva le parole della mamma fino a che una sera mentre dormiva fece un sogno.
La mattina seguente Leopoldo si svegliò di buon umore e finalmente riuscì a spiccare il volo; volò tutta la mattinata e quando ritorno a casa per il pranzo la mamma gli si accosto e gli disse: “A ognuno il suo tempo Leopoldo.” e Leopoldo abbracciò la mamma e disse: “Ora mamma ho capito cosa intendevi dire con quella frase!!”

Questo racconto è dedicato a voi bambini, che vorreste bruciare le tappe della vostra vita ed essere già grandi e alle vostre mamme e papà i quali sappiano pazientemente ed amorevolmente aiutarvi a crescere nel rispetto dei vostri tempi.
SE DESIDERATE POTETE DIVULGARE QUESTO SCRITTO SENZA ALTERARLO NELLA FORMA E NEL CONTENUTO

Ilenia Lazzarini

venerdì 25 settembre 2009

MATERNITA' di Ilenia Lazzarini



MATERNITA'


PROFUMO DI BISCOTTI E DI CAFFE'

DI COCCOLE TRA ME E TE.

SIAMO SOLI SINO ALL'ORA DEL THE,

IO FUORI E TU DENTRO DI ME.


Ilenia Lazzarini

martedì 22 settembre 2009

CATERINA, di Milena Ziletti



26.08.2009

CATERINA

Ciao a tutti. Io mi chiamo Caterina. Sono nata nel 1900. Allora c’era molta gente che guardava con timore alla fine di quel secolo appena iniziato. Pensavano alla fine del mondo: nel 2000, che vedevano così lontano eppure così nefasto e vicino. Non sapevano che la fine del mondo per ogni essere umano è diversa, perché ognuno la scopre alla fine della propria vita: ognuno di noi porta con sé la propria fine del mondo.
Quando nacqui si fece grande festa in famiglia, perché mamma Rosa, prima di me, aveva perso due bambini e con lei e papà Luigi tutti i parenti mi vedevano come un miracolo.
A quei tempi mamma Rosa era già vecchia per il primo figlio, i suoi 26 anni , dopo 5 di matrimonio, si completarono con la mia nascita. La felicità durò poco, perché presto scoprirono quanto fossi fragile e delicata di salute: avevo problemi a rspirare e bastava un semplice raffreddore per aggravare la mia salute. Mamma Rosa non si fece abbattere da questi problemi e li affrontava con tutti i rimedi conosciuti in quei tempi.
A distanza di due anni nacque Pietro, il mio fratellino che, a differenza di me, sprizzava salute da tutti i pori. Mentre io crescevo circondata da ogni premura, Pietro faceva altrettanto, e, nel giro di pochi anni sembrava lui il più grande di noi due. Io mangiavo poco, ma lui non ne aveva mai abbastanza.
A cinque anni, spostarono il lettino di Pietro che fino ad allora aveva dormito con me nella stessa cameretta. Questo mi procurò un po’ di dolore e mi sentii più sola, ma lui non poteva rimanere in quella stanza sempre piena di vapori così intensi che mi aiutavano a respirare.
Fu a sei anni che mi ammalai per la prima volta molto seriamente. Ricordo che ero alla finestra e guardavo Pietro che giocava con gli altri bambini. Era una bella giornata di fine estate ed il tempo era meraviglioso. La mamma mi aveva insegnato che non potevo correre come facevano gli altri bambini, perché sudavo e, un colpo d’aria poteva essermi fatale. Quel pomeriggio ero aggrappata ai vetri della finestra e guardavo fuori quei bambini in calzoncini corti che correvano e saltavano come puledrini e mi accorsi che la mamma mi guardava in modo strano. Capiva quanto mi mancava la vita all’aria aperta e il contatto con gli altri bambini. Decise, che, se non avessi corso potevo uscire sull’aia. Mi mise le calzine, il cappellino e mi fece accomodare in un posto ombroso.
Com’era bello respirare quell’aria pulita, sentire le grida dei bambini che giocavano, il canto degli uccelli e degli altri animali. Mi persi in quel misto di rumori e di odori tanto che quasi non mi pesava respirare. Fu una bellissima giornata quella. Pietro e gli altri bambini vennero a giocare vicino a me e mi girava la testa tanto era l’allegria di quel momento. A cena, quella sera, mangiai tutto quello che avevo nel piatto, mi sembrava di essere un’altra bambina.
Poi di notte cominciai a tossire. La mamma mi sentì e corse subito da me. Mi sono sempre chiesta come facesse a sapere se respiravo bene o avevo qualche problema, perché al primo respiro affannoso era subito accanto a me. Avevo la febbre, faticavo a respirare e tossivo. Ricordo che vomitai tutto quello che avevo mangiato a cena. Mamma Rosa fece bollire dell’acqua, e quei suoi infusi penetrarono nei miei affannosi respiri. Poi mi massaggiò sul petto con quello strano unguento che mi pizzicava naso e occhi, mi coprì con un’altra coperta e poi prese una sedia, si mise accanto al mio lettino e tenne la mia manina nella sua. Sentivo che pregava e invocava S. Caterina e nel bisbiglio sentivo “S. Caterina, aiuta la mia bambina”. Quante preghiere e quante invocazioni a S. Caterina ho sentito nel corso della mia breve vita. Rimasi in quelle condizioni per due settimane. La mamma non lasciava mai la mia mano, pensava di trasmettere a me un po’ della sua vita e aveva paura che, se l’avesse tolta, quel flusso potesse interrompersi. Intanto papà Luigi pensava a Pietro, Lo lavava, gli faceva da mangiare, insomma cercava di continuare quella vita che tutti loro possedevano. Ogni tanto entrava nella mia cameretta, mi guardava con tenerezza e guardava sua moglie che soffriva per la sua bambina. Allora appoggiava una mano sulla sua spalla e le baciava i capelli e si sentivano uniti più che mai nel dolore. Anche Pietro veniva a trovarmi e faceva ogni sforzo per rimanere seduto un po’ con me. Ricordo i suoi occhi così grandi che mi guardavano in quel letto, e non ho mai capito cosa vedesse in me realmente.
Venne anche il dottore che mi picchiettava sulla schiena, mi premeva la pancia, mi guardava in gola e poi usciva a parlare con la mamma.
Non so se fu un miracolo o le cure costanti della mamma, ma un po’ alla volta mi ripresi e tornai come prima.
Certo dovevo rimanere in casa e la mamma escogitava ogni gioco, canto, lavoretto pur di non farmi pesare la situazione. Cominciò anche ad insegnarmi a leggere e a scrivere e questo mi piaceva molto, più che disegnare o colorare.
I mesi e gli anni si trascinarono senza troppi alti e bassi. Pietro cresceva forte come un torello, così diceva sempre papà, mentre io crescevo poco e respiravo sempre più con difficoltà.
Ogni giorno nel mio piatto c’erano i cibi più saporiti, più nutrienti che io assaggiavo soltanto. Non venivano comunque buttati, perché Pietro era sempre disposto a finirli.
Mi stupiva anche il suo comportamento: fuori casa, con i suoi compagni, era il tipico maschiaccio, ma in casa, camminava quasi in punta di piedi, non urlava e mi trattava come se potessi rompermi fra le sue mani. Ora lo so: era un bambino sensibile che mi amava e aveva accettato la situazione.
La finestra era diventata il mio occhio sul mondo e guardavo lo svolgersi delle stagioni. In primavera Pietro mi portava il primo fiore che vedeva sbocciare, poi il primo gambo di grano mautro e la foglia ingiallita staccata dalla quercia, ed in inverno entrava in casa di corsa con un ghiacciolo per farmi toccare quanto fosse freddo.
Quegli anni furono una pena per tutti, anche se tutti facevamo finta di niente, ma non era quella la vita vera, per nessuno di noi.
Avevo dodici anni quando mi ammalai molto seriamente, ed io capii subito che non era come le altre volte: questa volta era diverso.
Fui nel mio lettino e di nuovo quei forti odori pungenti mi ricordavano come era stato sei anni prima: si ripeteva tutto nel medesimo modo, ma facevo molta più fatica a respirare.
I vapori, i cataplasmi sul petto, le preghiere e le invocazioni a S. Caterina, tutto sembrava essere inutile.
La mamma, vicino al mio letto, mi teneva la mano nella sua. Quanti giorni erano passati? Avevo perso la nozione del tempo. Ogni tanto percepivo una voce, un suono, un rumore ma non li distinguevo; l’unica costante era la mano di mia madre che teneva la mia.
Ad un certo punto , il mio respiro sembrò fermarsi e la mamma stringeva ancora di più la mia mano, sembrava dicesse “non andartene, non ancora, resta ancora un po’ con me”. Ed io facevo di tutto per accontentarla, ma quando dolore mi costava! E po vennero “loro”. Erano tanti bambini che mi guardavano, mi aspettvano. Erano ai bordi di una strada talmente luminosa che poteva accecarmi. Stavano aspettando me, ed io ero pronta ad andare con loro, tanto erano belli e sereni. Non dicevano niente, erano lì, per quando fossi stata pronta per loro. Non so come era il trascorrere del tempo, se erano passati minuti, ore o giorni, per me non aveva più importanza. Ogni tanto si aggiungevano altri bambini e, vedendo che ritardavo, si sedettero ai bordi di quella strada luminosa in paziente attesa.
Da una parte c’erano loro che mi trasmettevano ogni sensazione bella, dall’altra c’era la mamma che non voleva che la lasciassi, ed io ero combattuta, non sapevo cosa fare.
Intanto, ogni respiro che facevo era un dolore immenso, ma la mamma, la mia dolce mamma, mi voleva ancora con sé. Io volevo andare con quei bambini che mi aspettavano ma non volevo dare un dolore così grande alla mia mamma. Così tenevo duro, e con quel grande dolore nel petto cercavo un respiro dietro l’altro. Vedevo le sue lacrime, sentivo il suo dolore che era ncora più grande del mio perché l’aveva nel suo cuore e ce la mettevo tutta per resistere: solo per lei.
“Mamma, perché non mi lasci andare? Perché mi fai soffrire così?” Non so se lo pensai soltanto, ma lei lo capì. Capì che il suo amore doveva essere quello più grande, capì che era giunta la mia ora ma non ci riusciva a lasciare quella mia mano sempre più fredda.
“Amore mio, ovunque andrai, non sarai mai lontana da me.” Questo mi disse e mi lasciò la mano.
I bambini, che fino ad allora erano rimasti seduti in paziente attesa si alzarono, sorrisero e mi tesero le loro mani. Non sapevo da chi andare: erano tutti così belli e tranquilli, ma non ci fu bisogno di scegliere. Venni circondata da tutti loro ed inseme ci incamminammo per quella strada così luminosa. Mi resi conto con sorpresa che non sentivo più dolore, che ero felice, che potevo correre, saltare, cantare e toccare tutti quei bambini: finalmente stavo bene ed ero felice.
Mi voltai indietro e vidi la mamma distrutta dal dolore, papà impietrito e con gli occhi lucidi ma Pietro era sorridente, lui aveva capito.
Da quel giorno mamma Rosa si vestì di nero e non cambiò più colore e visse il resto della sua vita con il rimorso di aver staccato la sua mano dalla mia, mentre non era riuscita a capire che quel gesto era la più grande prova d’amore per quella sua sfortunata figliola.
Care mamme e cari genitori tutti, perdere un figlio, soprattutto bambino è un dolore che non ha uguali; ma da qui, noi tutti siamo felici e vi doniamo sempre e comunque un po’ di noi, della nostra acquisita serenità, ma solo se anche voi continuate la vita che vi rimane sulla terra senza dolore ma con gioia. Sappiate che l’amore che ci avete donato nella nostra breve vita è servito a portarci qui. Adesso tocca a noi fare qualcosa per voi: amate, amate, amate.
A presto, mamme e papà di tutti noi.

Caterina

lunedì 21 settembre 2009

VERDULANDIA



TITOLO: VERDULANDIA
AUTORE: BARBARA ZILETTI



Chi ha detto che la fantasia non esiste più?
Chi ha detto che i sogni debbano essere infranti?
Chi ha detto che il nostro mondo è brutto e terribile?
Chi detiene il potere assoluto di affermare tutto ciò?
LA TELEVISIONE…

Un giorno come tanti altri Marzia stava guardando la televisione, i suoi programmi preferiti erano i cartoni animati.
Purtroppo non i classici di una volta, con un filo logico e una morale interessante, ma quegli schifosi cartoni pieni di parolacce.
È con questi che le industrie commerciali gestiscono i bambini.
Quel giorno stavano trasmettendo un episodio nuovo di ESPLOSIONI SPAZIALI.
Mentre divorava i suoi pop-corn davanti allo schermo (avrebbe ingurgitato di tutto senza nemmeno rendersene conto)sentì un grande boato e si ritrovò circondata da una luce bianca.
Non si rese nemmeno conto di quello che le stava accadendo: era finita nel televisore, trasformata in una eroina di quell’episodio:
GRANDE MARZIA o GM.
Dallo schermo osservava le migliaia di bambini che a loro volta stavano guardando la TV.
Sembravano un esercito di robot.
Le loro mamme gridavano, parlavano, si affannavano in ogni modo per comunicare con loro, ma per risposta, come zombie continuavano imperterriti ad osservare lo schermo.
In quell’istante si rese conto dello strano potere ipnotico che la televisione deteneva.
Mentre formulava questi pensieri un peperone rosso gigante le stava lanciando delle palle infuocate.
Era in atto una guerra fra gli abitanti della Terra (di cui lei era la rappresentante, o regina) e le verdure.
Da sempre le verdure erano nemiche dei bambini, loro le detestavano, e a mano a mano che questo odio cresceva queste acquisivano potere.
Ora erano quasi invincibili.
Marzia iniziò a fuggire non sapendo cosa altro fare.
Si nascose in una grotta, nel sottosuolo e lì vi rimase per un po’ di tempo.
Nel frattempo le verdure si erano impadronite del pianeta cercando di sottomettere gli abitanti.
Queste si erano esercitate di nascosto a prepararsi come dei veri soldati, con tanto di addestramento ed ora erano riuscite a conquistare la Terra.
Come era stato possibile?
Ogni volta che un bambino si sedeva davanti allo schermo permetteva che altri (in questo caso i cartoni) usassero la fantasia al loro posto.
Ogni bambino che non usava la fantasia permetteva alle verdure di prendere potere.
Con le migliaia di bambini davanti agli schermi non avevano impiegato molto tempo per diventare invincibili.
Ora tutte le persone lavoravano come schiave e il pianeta era stato rinominato VERDULANDIA.
Non sapendo cosa altro fare Marzia iniziò a scavare nel sottosuolo finchè si ritrovò dall’altra parte della Terra.
Qui il paesaggio era ben diverso: era circondata da una distesa erbosa, di erba gialla e secca, pochi alberi qua e là e molti animali selvaggi.
Era nella savana africana.
Non c’erano televisori e i bambini giocavano fra di loro spensieratamente.
D’improvviso fece un balzo perché un piccolo bimbo di colore le stava picchiettando la spalla.
Disse qualcosa ma lei non riusciva a comprenderne il linguaggio.
Allora la prese per mano e la portò accanto ad un cespuglio di bacche rosse e le fece cenno di mangiarne una.
Con molto timore la raccolse, non appena l’ebbe inghiottita si ritrovò a comprendere e parlare perfettamente la lingua del piccolo:
-Ciao, sono Wapi, tu chi sei?
-Ciao, sono GM Grande Marzia, ma mi puoi chiamare semplicemente Marzia.
-Cosa ci fai qui nella savana africana? Da dove arrivi?
-Sinceramente non so proprio cosa risponderti, stavo scavando per fuggire dal mio mondo e mi sono ritrovata qui.
-Perché fuggivi?
-Perché le verdure si stanno impossessando di questo pianeta e io devo riuscire a trovare una soluzione.
-Cosa sono le verdure?
-Ma come, tu non le conosci? E di cosa vi nutrite?
-Di carne e di insetti, a volte di bacche, qui non c’è niente altro.
Marzia spiegò brevemente cosa fossero le verdure e tutto ciò che le era accaduto, mentre Wapi rimaneva estasiato ad ascoltarla.
Una cosa sola non era riuscito ad immaginarsi: che cosa fosse una televisione!
Aveva compreso solo che era una grossa scatola contenente delle persone piccole piccole e nella sua innocenza non riusciva a comprendere che tipo di minaccia potesse rappresentare per l’umanità intera.
Una scatola che conquista il pianeta?
Stentava a crederci e la ritenne una cosa buffa.
Anche Marzia pensandoci si rese conto che nel tempo le persone avevano attribuito ad essa troppo valore.
La TV stabiliva la moda, i valori, dispensava notizie, vere o false che fossero, insomma la TV dirigeva la vita di ogni individuo.
Era una cosa assurda.
Wapi interruppe i suoi pensieri e le fece cenno di seguirlo.
Si stava facendo sera e attorno ad un falò c’erano molti bambini con un anziano che raccontava storie.
I bambini erano affascinati dai suoi racconti.
Marzia si sedette accanto a loro ed ascoltò…
“ C’era una volta in un luogo molto lontano un popolo di bianchi che pur avendo a disposizione molto cibo lo sprecava.
Il cibo che essendo vivo vedeva tutto, non comprendeva perché queste persone non lo utilizzassero e si sentiva inutile.
Allora decise di osservarli meglio.
Si sedevano sempre ad un tavolo di legno a fissare una buffa scatola contenente dei piccoli ometti che raccontavano loro un mucchio di frottole, come ad esempio come vestirsi, come comportarsi, annunciando notizie catastrofiche e poco veritiere..
Essi credevano a tutto ciò che vedevano e sentivano senza mai metterlo in dubbio.
Col tempo questa scatola era divenuta una specie di “oracolo sacro”, avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di entrarvi dentro, anche per un solo istante.
Il cibo che per pigrizia veniva estratto da altre grandi scatole congelate veniva infilato direttamente nei forni, così il tempo poteva essere impiegato per guardare la scatola sacra.
Quel cibo che la natura aveva messo loro a disposizione e che non veniva mai utilizzato si chiamava frutta e verdura.
I bambini non sapevano cosa fosse perché i genitori non avevano mai spiegato loro la sua importanza e col tempo se ne scordarono.
Fu così che la verdura per attirare la loro attenzione decise di entrare nella “scatola sacra” e lentamente cominciò il lavoro di conquista del mondo.”
In quell’istante a Marzia fu tutto chiaro.
Doveva ritornare per salvare la Terra, doveva gridare al mondo di nutrirsi di verdure e frutti, soprattutto ai bambini, solo in questo modo i vegetali stessi si sarebbero sentiti gratificati e avrebbero smesso di ribellarsi.
Ritornò nel luogo dove aveva scavato la buca, vi entrò e si ritrovò sul proprio divano.
Aprì lentamente gli occhi e si rese conto di avere sognato.
Allora era questa la fantasia?
Era qualcosa che la sua mente era in grado di creare e l’aveva trovato anche piacevole.
Da quel giorno non accese più la TV ed iniziò a leggere molti libri e naturalmente costrinse la mamma a cucinarle la verdura che da quel momento non mancò più dal tavolo della cucina!
Non permettete di dare troppo potere ad una “scatola”, ma utilizzate una cosa che è GRATIS: la fantasia!

FINE
La riproduzione parziale o totale della presente opera è libera e incoraggiata purchè non a scopi commerciali e a condizione che venga citato l’autore e che questa dicitura sia riprodotta

IL PRETE DI MONTAGNA, Barbara Ziletti



TITOLO:IL PRETE DI MONTAGNA
Autore: BARBARA ZILETTI
C’era un prete in un piccolo paesino di montagna che si chiamava don Stefano.
Il classico prete con l’abito lungo e nero e il cappello in testa.
Era amato e benvoluto da tutti.
La sua giornata tipo era così: sveglia alle 5, colazione, preghiera, messa alle 6 per le donne del paese.
Poi usciva a passeggiare per il paesello distribuendo un pizzico di gioia a chiunque incontrasse.
Bastava uno dei suoi sorrisi per sentirsi meglio.
Chiunque aveva un problema si rivolgeva direttamente a lui.
Una mattina Mery, una ragazza di diciannove anni lo avvicinò con fare sospettoso.
“Venga padre, entri qui nel pollaio, le devo parlare.”
Don Stefano, stupito dalla sua richiesta pensò a qualcosa di grave.
Entrarono nel pollaio e circondati dalle galline iniziarono a parlare.
“Padre, ho un gravissimo problema”.
“Dimmi cara ragazza, di cosa si tratta?”
“Non saprei da che parte cominciare. Bè ecco.. sono incinta.”
“Ho capito, non mi sembra una cosa così brutta, ti puoi sempre sposare, e chi è il fortunato?”
“Non è così semplice”
“Perché?”
“Beh, vede, l’uomo che si è approfittato di me, senza il mio permesso è sposato ed ha dei figli della mia età. È una persona in vista nel paese, lui mi ha dato dei soldi per andarmene e abortire, ma io non so cosa fare. Sono incinta di quattro mesi, non posso più abortire!”.
“Cara ragazza, cosa ti posso dire? La tua famiglia sa qualcosa?”
“Assolutamente no. Mio padre mi ammazzerebbe e mia madre non mi guarderebbe più, ho tanta vergogna!!”
“Hai qualcuno che ti possa aiutare?”
“Non ho proprio nessuno e non so come fare.”
“Facciamo così: domani vengo a casa tua e parlo con i tuoi genitori”.
“No, la prego padre, non lo faccia, mi cacceranno di casa e non saprei dove andare.”
“Non preoccuparti. Dio vede e provvede sempre. Ora stai tranquilla e vai a casa. Ci vediamo domani.”
La ragazza se ne andò piangendo.
Poco lontano Maria, la pettegola del paese, passando li vide uscire dal pollaio e la sua fantasia iniziò a galoppare..
Li aveva già visti amanti e dato che il prete era un bell’uomo aveva già deciso che il loro era stato un incontro amoroso.
Corse subito a riferirlo a chiunque incontrasse per il paese, quando una notizia può danneggiare qualcuno, le malelingue la fanno circolare velocemente..
Dopo nemmeno due ore in tutto il paese non si parlava d’altro e i genitori di Mery la stavano aspettando furiosi.
quando la ragazza rientrò iniziarono ad inveire contro di lei senza darle nemmeno il tempo di spiegarsi e nel giro di mezz’ora venne buttata fuori casa.
Non sapendo dove andare si recò da don Stefano.
Gli raccontò tutto e lui pensò alla soluzione migliore per entrambi.
Il giorno dopo era domenica e la chiesa era gremita.
Quando entrò nel luogo sacro le persone iniziarono a borbottare.
Si fece coraggio ed iniziò la santa messa. Quando fu il momento dell’omelia spiegò tutta la verità e le persone rimasero esterrefatte.
Con la semplicità e la chiarezza, ma soprattutto coraggio e sangue freddo, aveva detto loro la pura e semplice verità.
Il sindaco, persona benestante del paese, si alzò in piedi e cominciò a dare del bugiardo al prete.
Accanto a lui la moglie non faceva altro che dare della poco di buono alla ragazza che dalla sacrestia fece capolino e disse:
“Terminata la messa, fuori, vi spiegherò tutto”.
Terminarono la messa ed uscirono nella piazzetta.
Lei era lì, circondata dalla folla ed iniziò a spiegare.
“Dovete sapere che è stato proprio il sindaco ad approfittarsi di me! E lo ha fatto contro la mia volontà! Ma io non abbandonerò la mia creatura per questo.
Don Stefano mi ha offerto un lavoro qui in parrocchia, ed ho intenzione di accettarlo, almeno finchè il bimbo non sarà cresciuto. Nessuno di voi si è preso la briga di chiedermi come ssiano andate le cose.
Siete tutti cattivi e pieni di pregiudizi. Dovreste imparare la bontà dal vostro parroco, non meritate una persona così buona.”
Il sindaco prese la moglie per il braccio e la trascinò via. Nessuno più li vide.
Tutti volevano bene a Mirko, il bambino a cui Mery aveva permesso di venire al mondo e di cui non si era mai pentita.
Anche i nonni erano fieri di lui.
Da grande Mirko avrebbe preso il posto di don Stefano, sarebbe diventato sacerdote.
Chi meglio di lui conosceva la compassione?

FINE

Se desiderate condividere con altri questo scritto lo potete fare non dimenticando di citarmi come autrice e lasciando invariata la forma e il contenuto.
Barbara Ziletti

QUELLE MONTAGNE VICINE MA LONTANE, Grillo Emma



La poesia che segue è quella di una bambina cristallo di 11 anni, figlia di genitori indaco.
Nella sua totale semplicità mostra la voglia di vivere e il desiderio di scovare il positivo e il bello anche nelle cose più semplici e soprattutto il grande entusiasmo di vivere.
A voi l’interpretazione…
Sappiate che ha partecipato al PREMIO LETTERARIO VALLESPLUGA in forma anonima, fra centinaia di poesie di adulti ed è stata scelta per essere inserita nell’antologia del premio letterario.
Se desiderate potete diffonderla, senza alterarla nella forma e nel contenuto inserendo questa citazione:
tratta da: antologia del premio letterario la Montagna Vallespluga 2008, Montedit 2009.
Ziletti Barbara

QUELLE MONTAGNE VICINE MA LONTANE

Sono a casa,
vedo montagne imponenti nel cielo
sembran vicine ma sono lontane
sono speciali ma sono oscurate.
C’è la nebbia di bassa pianura.
Ora le vedo vicine: come sono belle e
Affascinanti, imponenti su quel piccolo mondo
Che è la mia cascina.
Le vedo, le vedo, sono proprio lì.
La sveglia suona.
Fuori dalla finestra spalancata i monti
Sembrano vicini ma sono lontani.
Non è stato un sogno, è tutta realtà.
Io sono qua!

EMMA GRILLO

domenica 20 settembre 2009

IL BAMBINO CRISTALLO

Questo racconto è stato scritto da me, Ziletti Barbara e edito da Stazione Celeste e distribuito gratuitamente.
Per una corretta lettura digitate il seguente link:
http://www.stazioneceleste.it/articoli/indaco/fiaba_bambino_cristallo.pdf

sabato 19 settembre 2009

PER VOI CHE STATE LEGGENDO...

Carissimi compagni di viaggio,
quante volte avete pensato di condividere i vostri scritti (frasi, poesie o racconti) con altre persone?
Creando questo blog è mio desiderio, anche per voi , diffondere ciò che avete fino ad ora tenuto nel cassetto.
Essendo a contatto con molti siti, cercherò di divulgarli il più possibile.
Tutti possono pubblicare le proprie opere, senza distinzione di età alcuna (per i minorenni serve il consenso dei genitori).
Ogni testo dovrà essere inviato al mio indirizzo email: barbaraziletti@alice.it con la segg.dicitura:

SE DESIDERATE POTETE DIVULGARE QUESTO SCRITTO SENZA ALTERARLO NELLA FORMA E NEL CONTENUTO (e la vostra firma).

Naturalmente non si accettano scritti che possono nuocere la comunità o il buon senso civile e spirituale.

Una volta al mese sarà scelto un vincitore per ogni categoria: poesia, frasi brevi, racconti, e il premio sarà naturalmente...virtuale.

Non mi resta che augurarvi BUON LAVORO!!

Barbara